Pubblicato il: 11 gennaio 2014

Archiviato il: 03 maggio 2014

Discorso di insediamento del nuovo priore Sergio Pignatelli


Carissimo don Vito,
carissimi rappresentanti delle confraternite molfettesi,
carissimi confratelli,
carissime zelatrici,
carissimi amici e presenti tutti,

 

 

è, innanzitutto, doveroso porgevi il mio ringraziamento più sentito per la vostra presenza in questa occasione solenne non solo per la mia persona ma anche per la mia amministrazione e per tutto il Sodalizio.


Pur avvertendo, sin da subito, un senso di inadeguatezza a questo ruolo così delicato, dettato più che altro dalla paura ad assumerne le responsabilità, grazie all’aiuto della mia famiglia e di alcuni confratelli, ho capito che il timore non era un presupposto valido per intralciare i piani che il Signore e Sant’Antonio hanno predisposto per la nostra Confraternita. Iniziare un nuovo cammino spaventa sempre, ma poi, passo dopo passo, ci si accorge di quanto sarebbe stato pericoloso restare fermi. Se la candidatura di un’amministrazione giovane è una grande opportunità per il Sodalizio, la mia accettazione era altrettanto doverosa. Per questo motivo, ho accettato con gioia questo compito pregno sicuramente di tanti oneri. Si legge nel libro del Siracide: “Ti hanno fatto capotavola? Non esaltarti; comportati con gli altri come uno di loro. Pensa a loro e poi mettiti a tavola. Quando avrai assolto al tuo compito accomodati per ricrearti con loro e ricevere la corona per la tua cortesia” (Sir 32, 1).

 

Spero che questo cammino possa slegare la confraternita dall’incastro della liturgia ordinaria preparandola alla liturgia dell’accoglienza, ad una confraternita non mummificata in vacuo associazionismo da parata, ad una confraternita sovversiva che rifiuta la logica dell’agio e dell’immagine. Sovversiva proprio come sovversivo è stato Antonio di Padova che, abbandonato il benessere degli agostiniani, ha seguito l’unica logica dettata dal Vangelo: la logica del servizio.

 

Non cadiamo nella trappola dell’ostentazione. San Giovanni Crisostomo scriveva a tal proposito: “Se vedessi uno privo del cibo necessario e, senza curartene, adornassi d'oro solo la sua mensa, credi che ti ringrazierebbe o piuttosto non si infurierebbe contro di te? Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell'edificio sacro. Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni” («Omelie sul vangelo di Matteo» di san Giovanni Crisostomo, vescovo (Om. 50, 3-4; PG 58, 508-509)).

 

Non sarebbe una confraternita credibile, la nostra, se ce le giocassimo solo nel rito senza dare testimonianza di autenticità evangelica. Se non staremo al passo con gli ultimi, potremo celebrare tutte le processioni che vorremo ma saranno soltanto la passerella della nostra superba apparenza. L'apostolo dei Gentili, il principale missionario del Vangelo di Gesù, San Paolo, nella lettera ai Colossessi ammonisce: “Fate attenzione ai raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo” (Col 2, 6-15).

 

“Rinnovare” un mandato non vuol dire “rinnegare” l’operato già fatto dalle amministrazioni passate: anzi qui esprimo la mia gratitudine verso chi mi ha preceduto ed, in particolare, al priore de Felice e ai suoi collaboratori. Spero che la mia amministrazione sia degna dell’impegno profuso dalla sua e spero che possa attingere da essa l’umiltà e la lungimiranza degli obiettivi.

 

Colgo l’occasione per esortare alla comunione comune i rappresentanti delle confraternite cittadine qui presenti: spogliamo i nostri sodalizi dalla formalità comunicativa e intraprendiamo progetti comuni di aiuto e di testimonianza; la diversità cromatica dei nostri abiti non può e non deve essere diversità di intenti, soprattutto in questo periodo sociale particolarmente duro.

 

Se Antonio di Padova ci ricorda di rigettare con forza i simboli del potere esaltando, bensì, il potere dei simboli, non posso in questa occasione non richiamare alla mente con voi uno dei simboli propri di questo Santo, la cui presenza, superando i limiti del tempo, è giunta fino a noi per esserci ancora compagno di viaggio e amico. Egli è, sì, comunemente raffigurato con il libro in mano, segno della Parola di Dio, ma anche con un pane, segno di tutte le fami che ogni uomo si porta dentro (fra Luciano Bertazzo, Il fascino dei santi e il pane condiviso (Messaggero)).

 

Lo stesso don Tonino sottolineò a più riprese “che il pane, più che per nutrire, è nato per essere condiviso: con gli amici, con i poveri, con i pellegrini, con gli ospiti di passaggio! Spezzato sulla tavola, cementa la comunione dei commensali; deposto nel fondo di una bisaccia riconcilia il viandante con la vita; offerto in elemosina al mendico, gli regala un’esperienza, sia pure fugace, di fraternità; donato a chi bussa di notte nel bisogno, oltre a quella dello stomaco, placa anche la fame dello spirito, che è fame di solidarietà; raccolto nelle sporte, dopo un pasto miracoloso sull’erba verde, sta ad indicare che a chi sa fare la divisione, gli riesce bene anche la moltiplicazione!” (don Tonino Bello,  Lettera a San Giuseppe).

 

E’ per questo che al termine di questa liturgia di inizio mandato, in cui si celebra la condivisione di un nuovo cammino, io e i miei collaboratori abbiamo deciso di offrirvi, appunto, il simbolo più classico della condivisione: il pane. Anzi, chiediamo scusa a tutti coloro si sarebbero aspettati un banchetto ben più fastoso per tale solennità: ma se il mondo ha accolto la venuta del Figlio di Dio in un luogo, Betlemme, che vuol dire “casa del pane”, allora anche noi per accoglierlo dobbiamo essere pronti a trasformare le nostre chiese in “case del pane”.

 

Condividere il pane ad inizio cammino è un gesto semplice. Il Signore stesso, prima di iniziare il suo cammino più difficile, lo spezzò e lo distribuì ai suoi amici: non è importante accaparrarsi la pagnotta più grande, quanto condividerne finanche le briciole.

 

Il Vangelo e il pane: se a Sant’Antonio sono stati sufficienti per incarnare la volontà del Padre, allora anche alla mia amministrazione in questo triennio non dovrà occorrere nient’altro. Li porteremo con noi perché serviranno molto anche alla mia Confraternita, anzi quando essa mi chiederà qualcosa spero di non aver null’altro da darle che questo: né blasone, né potere, ma solo il vangelo e il pane. Se alla base della nostra fede ci saranno questi due ingredienti, allora sì che riusciremo a placare la fame d’Amore che bussa alle nostre porte e che, spesso, è più difficile da rimuovere della fame di pane.

 

Concludo con una delle esortazioni più dure di Sant'Antonio: “Spesso siamo ricchi di parole e poveri di opere” («Discorsi» di sant'Antonio di Padova, sacerdote (I, 226)). Tacciano, dunque, le parole e parlino le opere.

 

Oggi, 06 gennaio 2014, festività dell’epifania, è il giorno del Signore. Ed è bellissimo.