Pubblicato il: 04 ottobre 2014

Archiviato il: 15 gennaio 2015

 

Educare alla carita', educare all'amore

 

 

Educare alla carità e all’amore non ha più quel profondo significato evangelico in una società in cui il binomio "carità e amore" annega nella globalizzazione della indifferenza. Eppure, è ancora possibile plasmare la persona alla comunione con Dio e alla scuola del Vangelo. Il Convegno Pastorale di inizio anno diocesano, tenutosi all’Auditorium Regina Pacis, ha delineato numerose linee guida per il terzo anno di attuazione del programma pastorale «Educare alla carità. La testimonianza dell’amore».

Infatti, dopo l’educere (educare alla fede: evangelizzazione e catechesi) e l’intusducere (educare alla speranza: la preghiera e la liturgia), il traducere (educare alla carità: la testimonianza dell’amore) è la concretizzazione di quanto discusso e realizzato nei primi due anni del programma pastorale diocesano «Il traducere, esprime prima di tutto la gioia di sentirsi collaboratori di Dio nell’amore. Educare alla carità, però, passa inevitabilmente attraverso la capacità di ascolto e si traduce in una rinnovata dinamica di solidarietà - si legge nel programma pastorale 2012-2016 -. Per questo bisogna che la vita di fede trovi una traduzione concreta nelle opere secondo il dettato di S. Giacomo nella sua lettera: la fede senza le opere è morta».

Cristo, a cui ogni cristiano deve aderire, è il nostro principale esempio del concetto di “prendersi carico del prossimo”, ha sottolineato Mons. Francesco Soddu, Direttore dell’Ufficio Caritas Italiana, perchè «educare alla carità significa educare alla fede e aiutare i poveri, due principi fondamentali della Chiesa». Papa Francesco, il 16 maggio scorso, ricevendo il comitato esecutivo di Caritas Internationalis, ha affermato che «la Caritas è come la carezza della Madre Chiesa ai suoi figli; la tenerezza, la vicinanza», «è l’amore della Madre Chiesa, che si avvicina, accarezza, giacché una Chiesa senza carità non esiste».

Di sicuro, il testo esortativo di Paolo nella Lettera ai cristiani di Colossi - «Rivestitevi di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza» (Col 3,12) - indica lo stile con cui il Vangelo può raggiungere le periferie esistenziali, lo stile da assumere nel vivere il Vangelo della carità, lo stile della “diakonía”, ovvero del servizio, che è sempre anche “caritas”. È lo stesso Gesù che ha insistito molto sull’azione caritativa: il Vangelo, infatti, non è tale solo per il contenuto, ma deve essere annunciato con uno stile adeguato, coerente con il messaggio stesso. L’azione caritativa non può essere solo un fare il bene, ma deve essere un’azione che anche nelle modalità con le quali è esercitata mostri la carità di Dio.

La stessa Caritas, ha aggiunto Mons. Soddu, è «il ricordarci che dobbiamo essere animati nella e dalla carità», è la «testimonianza che sorregge» e nella comunità ecclesiale ha funzione pedagogica. Lo stesso don Tonino, analizzando il contenuto dei verbi proposti nell'icona biblica del Buon Samaritano, rilancia con forza l'esortazione a vivere la carità «con viscere di misericordia»: occorre prendere coscienza che i poveri esistono ancora, fasciarne le ferite, rimuovere i meccanismi che generano sofferenza, liberare dal bisogno, lasciarci evangelizzare dagli ultimi. Al cospetto del povero il Signore Gesù si sente stringere il cuore, si commuove e agisce in suo favore. Don Tonino ci invita a fare altrettanto. «Se la fede ci fa essere credenti e la speranza ci fa essere credibili, è solo la carità che ci fa essere creduti».

«L’individualismo esasperato e la competizione non aiutano a far crescere la comunità. Responsabilità e comunità fanno la “vera qualità della vita”, perché costruiscono legami, aiutano la vita in tutte le sue fasi e componenti, costruiscono città e Chiesa, in un dialogo tra loro rinnovato di gioia e di speranza - si legge ancora nel programma pastorale diocesano -. La comunità diventa metafora di una vita vissuta bene, di stili e comportamenti fraterni. Il valore della gratuità che la comunità difende non va solo attribuito alla propria attività di volontariato, ma deve diventare testimonianza anche per l’impegno nelle attività non-profit del terzo settore. Ciò che si testimonia nell’attività di volontariato non è altro che il paradigma della vita personale e lo stile con cui vivere le relazioni anche nella professione, nella quotidianità della vita».

Purtroppo, la chiesa attuale pare abbia dimenticato il valore dell’educere e dell’intusducere, il significato di apostolato evangelico perché disancorata dalla Parola di Dio.