Pubblicato il: 11 luglio 2015

Archiviato il: 09 agosto 2015

Dalla devozione alla fede: non una dicotomia, ma un salto di qualità

 

 

Più volte, durante la Tredicina appena trascorsa, si è fatto riferimento non solo alla devozione verso Sant’Antonio, ma, in particolare, a quel decisivo movimento dello spirito verso le fede in Dio. Un vero e proprio salto di qualità, considerato che San’Antonio ci invita, comunque e sempre, a “guardare” a Gesù e che una devozione fine a se stessa è lontana non solo dal messaggio antoniano, ma anche dal Vangelo. A questo proposito, è molto interessante un passaggio della Lettera ai Colossesi (2,16-23):

«Nessuno dunque vi condanni in fatto di cibo o di bevanda, o per feste, noviluni e sabati: queste cose sono ombra di quelle future, ma la realtà è di Cristo. Nessuno che si compiace vanamente del culto degli angeli e corre dietro alle proprie immaginazioni, gonfio di orgoglio nella sua mente carnale, vi impedisca di conseguire il premio: costui non si stringe al capo, dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legamenti e cresce secondo il volere di Dio. Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché, come se viveste ancora nel mondo, lasciarvi imporre precetti quali: “Non prendere, non gustare, non toccare”? Sono tutte cose destinate a scomparire con l'uso, prescrizioni e insegnamenti di uomini, che hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità e umiltà e mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne».

 

La lettera ai cristiani di Colossi fu scritta da Paolo - o da un suo discepolo - intorno agli anni 60 del primo secolo. Uno dei problemi della comunità che l’autore affronta è il diffondersi al suo interno di nuove correnti filosofico-religiose di derivazione pitagorica e giudaizzante, con le loro relative dottrine mistiche e ascetiche: un pericoloso sincretismo che rischiava di allontanare i battezzati da un’autentica adesione a Cristo.

 

Di sicuro, dalle parole di San Paolo emerge la difficoltà di saper discernere con correttezza una “pia devozione”, che aiuti a vivere una vita intensamente cristiana, ovvero abbia al suo centro Cristo, da una che, invece, decade più o meno, inavvertitamente, in superstizione e vuota religiosità. Il rischio di tutte le devozioni attuali verso Santi/e e Madonne varie potrebbe provocare il “revival” di diverse forme di devozione e religiosità: questo accade, il più delle volte, quando la pietà popolare per comunicare con il divino cerca spesso il contatto immediato attraverso fenomeni straordinari piuttosto che attraverso la fede, predilige le illusorie scorciatoie dei fenomeni straordinari che la via maestra della croce. Appare, perciò, viziata dalla vana credulità che al serio impegno sostituisce il facile affidamento a pratiche solo esteriori e da una certa mentalità utilitaristica (lucrare indulgenze, ottenere grazie, assicurarsi l’ingresso in paradiso mediante l’osservanza di certe pratiche vissute peraltro al di fuori del loro contesto originario, recitare ripetitivi rosario in modo asettico, pregare per abitudine e senza una reale meditazione sulla Parola di Dio, ecc.).

 

Se da un lato tutto questo può essere occasione per far sì che la fede del popolo acquisti più calore perché parla un linguaggio comprensibile che risponde alle esigenze religiose “immediate”, dall’altro occorre sempre un’opera costante di evangelizzazione affinché esse non si allontanino mai dal cuore dell’Evangelo.

 

«Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché, come se viveste ancora nel mondo, lasciarvi imporre precetti?»: è questo è il credo della comunità cristiana.

 

Come allora rapportarci oggi con tutti quegli aspetti devozionali presenti nel tessuto concreto di fede delle nostre comunità? Come operare un discernimento evangelico nei loro confronti? Probabilmente, il criterio fondamentale per discernere potrebbe essere osservare se di fatto queste proposte cercano la propria gloria o quella del Signore, se esse si rifanno alla “legge” fine a se stessa per sentirsi assicurati per l’aldilà o sono dettati dall’amore per Dio. E, ancora, valutare se tutte queste pratiche avvicinino alla persona di Cristo o camminano parallele a lui.

 

Attenzione a quelle devozioni che hanno forse solo la parvenza del sacro: svuotate del loro contenuto cristiano, rischiano di creare un distacco tra il momento cultuale e l’impegno di vita, rendendo non credibile la fede Diverso il caso in cui la cosiddetta “pietà popolare” diventa portatrice di valori propri del popolo di Dio, sia cioè reale espressione di un vissuto di fede che non “dimentica” Cristo. In tal senso, bisogna valutare se tale “pietà” porti la gente ad accostarsi a Cristo attraverso la Parola e i Sacramenti nella propria comunità cristiana.

 

Proprio per questi motivi, come più volte ha sottolineato don Vito, assistente spirituale della Confraternita, è importante che la devozioni al santo di Padova consolidi e aumenti la nostre fede in Dio, che dev’essere sempre la roccia su cui poggiare ogni passo del nostro cammino e della nostra vita spirituale. La vita del cristiano, come insegnano i Padri della Chiesa, dev’essere permeata dalla lode, dal ringraziamento, per un amore che è stato già riversato su di noi con straordinaria abbondanza senza alcun merito da Gesù sulla croce.