Pubblicato il: 02 maggio 2015

Archiviato il: 11 giugno 2015

Maggio, in preparazione alla Tredicina: Antonio ci invita a essere «inesauribile sorgente d’acqua viva»

 

 

 

Manca ormai un mese alla solenne Tredicina in onore di Sant’Antonio, che inizierà il prossimo 31 maggio. Il mese di maggio, mese dedicato alla Vergine Maria, è per la Confraternita un periodo di preparazione e attesa per un evento che, a prescindere dalla consueta ritualità o dalla frenetica organizzazione, dev’essere considerato un fertile terreno di preghiera e meditazione spirituale. Infatti, accanto alla devozione al Santo patavino, deve crescere e rafforzarsi la fede e la fiducia in Dio da parte di ogni Confratello per intercessione di Sant’Antonio: numerosi saranno i pellegrini e i devoti che si recheranno alla piccola Chiesa di Sant’Andrea per visitare e pregare il Santo, ma ai Confratelli è richiesto un salto di qualità. Proprio quello della fede, che si esprime anche nella preghiera, nella partecipazione, nella misericordia, nella resilienza.

 

È opportuno, perciò, ricordare anche quanto padre Luciano Marini, durante la Festa della Lingua dello scorso febbraio, ha affermato sulla figura di Antonio: «Antonio aveva capito che la Parola di Dio è l’unica parola che salva e per questo si era speso e consumato non solo per la sua conoscenza, ma soprattutto per la sua diffusione nel mondo». Peraltro, è necessario sottolineare che la meditazione della Parola non deve mai ridursi a una mera e rapida lettura del testo, ma dev’essere sostenuta e tonificata dalla contemplazione di ciò che Dio comunica e, poi, nel metterlo in pratica con un proposito fermo e gioioso.

 

Di Antonio è possibile evidenziare alcune caratteristiche morali e spirituali, partendo da quanto è scritto nel testo «Liturgia e spiritualità Antoniana» di Antonio Giuseppe Nocilli (Edizioni Messaggero Padova, 1980). In questo numero di maggio, focalizzeremo l’attenzione sul carattere contemplativo e sull’uomo di Dio.

 

Di solito, la liturgia presenta l’aspetto contemplativo della vita di Sant'Antonio con la visione del Signore che il Santo ebbe prima della sua morte e con l’immagine di lui che sorregge fra le braccia il Bambino Gesù. In effetti, la spiritualità di Antonio si irrobustisce a contatto con l’atmosfera mistica francescana, permeata di sola vita vissuta e di religioso entusiasmo, ricco di confidenza, di semplicità e di affetto nei rapporti con Dio e con il mondo soprannaturale. Infatti, come Francesco d’Assisi, definito l’alter Christus, fu un incomparabile imitatore delle virtù evangeliche, così pure Antonio fu un uomo che, sulle orme del padre san Francesco, si unì a Dio in maniera concreta, viva, personale per mezzo del suo Figlio unigenito, Cristo.

 

Il Santo patavino scrive che la vita contemplativa è la più preziosa di tutte le opere, manifestando la grandezza e la ricchezza della sua anima non tanto nella sua suggestiva predicazione, né nella sua fama di taumaturgo, quanto nella sua continua, intima unione con Dio.

 

Frate Antonio pose tutte le sue energie, tutte le sue qualità personali, il suo tempo, la sua vita nelle mani di Cristo, in una tale fusione con lui da concretizzare le parole paoline «Vivo io ma non più io, è Cristo che vive in me; la mia vita è Cristo». Il Santo è tralcio vivo e fruttifero nella vite, nella volontà di imitare la sua passione, perché comprese il linguaggio di Cristo e, unito a Lui nella preghiera, nella carità fraterna e nella donazione continua al prossimo, portò frutti di santità.

 

Sant'Antonio digiuna, prega, rinnega se stesso: così invita i suoi fedeli a diventare come lui, come un «giardino ben irrigato e come un inesauribile sorgente d’acqua viva», e ad gustare il sapore della povertà e dell’umiltà di spirito. Antonio, con la sua vita, ha sempre testimoniato che più le facoltà dell’uomo sono svuotate dal desiderio e dall’attaccamento alle cose di quaggiù, più esse si raccolgono nella pace e nel silenzio interiore e raggiungono Dio. Per Antonio si tratta di sostituire alle prospettive di una brillante carriera mondana, facilitata dalla consistente posizione sociale della famiglia, l’ardua via della mortificazione e della croce. Distaccato dal mondo e aperto ai valori dello Spirito, Antonio è pronto ad accogliere la parola di Dio che gli giunge in modo nuovo e originale, prima attraverso il carisma dell’Ordine dei canonici regolari di sant'Agostino e poi attraverso quello dell’Ordine Serafico. Non avendo ancora raggiunto la vera povertà interiore quando riceve l’abito di san Francesco, frate Antonio chiede di essere mandato missionario nel Marocco e aspira alla gloria del martirio.

 

Il suo io non si era ancora annullato nell’obbedienza come invece accadrà un anno più tardi, ad Assisi, nel capitolo delle stuoie. Sconosciuto e trascurato, Antonio è incaricato di celebrare la messa per i frati dell’eremo di Montepaolo. Il suo desiderio è ormai fare la volontà di Dio che gli è espressa dalla voce dei superiori. La disponibilità alla volontà divina, il riconoscimento della pochezza e della miseria umana, il disprezzo di sé sono le condizioni essenziali per l’elevazione spirituale che si traduce in Antonio nell’appassionata ricerca di Dio in Cristo, l’unico suo bene.

 

Antonio, con la sua vita, indica la strada: quella della povertà spirituale («Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» - Mt 5,3), insegnamento quanto mai indispensabile per l’uomo contemporaneo. Povertà spirituale che è riconoscimento della nostra povertà ontologica, del nostro essere delle creature di Dio («In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo», At 17,28), del debito infinito contratto in seguito al peccato originale e personale, debito insolubile a causa della nostra povertà di meriti, in quanto poveri peccatori.