Pubblicato il: 02 maggio 2015

Archiviato il: 09 agosto 2015

Non ci faccia impressione chiamarli "Fratelli"

 

di Sergio Pignatelli

 

Carissimi confratelli,

come ben sapete il 15 aprile scorso, il mare, così tanto caro alla nostra Molfetta, ha inghiottito la vita di circa 950 persone. In una sola notte questi uomini sono naufragati con le loro fervide speranze. Anche se di religione e una nazione diverse, con il colore della pelle diverso dal nostro non ci faccia impressione chiamarli “Fratelli".

“Fratelli”, una parola così tanto cara a noi iscritti a queste congregazioni religiose al punto che giuriamo davanti a Dio di vivere questo amore fraterno con tutti i sodali.

 

Il Signore non ha creato “migranti” o “extracomunitari”, ha creato “uomini”, offrendo loro una dignità di vita: purtroppo, gli appellativi sono solo un’esigenza prettamente “diabolica” di definire dei confini. Leggevo su una rivista che i nostri soldi depositati in banca in poche ore fanno il giro del mondo più volte. Anche le merci ormai sono acquistabili in tutto il mondo grazie all’import/export. Perché, dunque, solo agli uomini non è concesso varcare i confini?

 

Non sono pochi i commenti letti di gente che addirittura ha gioito per queste morti: «Finalmente, che sia da monito a tutti gli altri che vorranno provarci», «Non mi importa, tanto io sto bene come sto», «Sono dei disperati, la loro vita non vale granché», «L’Italia risparmierà un bel po’ di soldi per l’accoglienza di questi poveracci». Chissà se queste espressioni, mi sono chiesto, hanno trovato ospitalità sulle labbra di noi cristiani. E poco importa se, pur non essendo state pronunciate, hanno alloggiato con soddisfazione nelle nostre menti contorte.

 

Dio non ci chiederà il numero di ceri che abbiamo acceso al nostro Santo patrono, non ci chiederà neanche il numero di “Ave Maria” che abbiamo sciorinato alla Madonna. La nostra salvezza passa dall’accoglienza all’ultimo che fiorisce solo in un cuore puro. Mi hanno colpito molto le parole di un rifugiato somalo, Awas Ahmed, che riporto fedelmente: «A chi chiede: “Non era meglio rimanere a casa piuttosto che morire in mare?”, rispondo: “Non siamo stupidi, né pazzi. Siamo disperati e perseguitati. Restare vuol dire morte certa, partire vuol dire morte probabile. Tu che sceglieresti? O meglio cosa sceglieresti per i tuoi figli?” A chi domanda: “Cosa speravate di trovare in Europa? Non c’è lavoro per noi figurarsi per gli altri”, rispondo: “Cerchiamo salvezza, futuro, cerchiamo di sopravvivere. Non abbiamo colpe se siamo nati dalla parte sbagliata e soprattutto voi non avete alcun merito di essere nati dalla parte giusta”».

 

Lo scorso anno, a seguito di un mio articolo, qualcuno mi ha suggerito che il compito delle confraternite non è quello di barcamenarsi in tematiche di attualità sociale, ma quello di perpetrare fedelmente i rituali di pietà popolare che da secoli le contraddistinguono. Tradizione e devozione popolare: le parole che definiscono un “confine” netto. A rischio di una nuova ramanzina, non potevo tacere, la mia coscienza questa volta non me lo permetteva. Preghiamo per queste anime, dunque, cari confratelli e fedeli tutti: nelle nostre preghiere ritagliamoci un‘orazione alla Vergine dedicata esclusivamente a loro. Sono sicuro che il nostro caro Sant’Antonio ce ne renderà merito più di qualsiasi addobbo floreale ai piedi della sua icona.