Pubblicato il: 17 febbraio 2018

Archiviato il: 24 marzo 2018

Opere di Misericordia spirituale: insegnare agli ignoranti

 


Spesso mi fermo a considerare quelle che sono le attese dell’umanità in questo tempo ritmato freneticamente da ansie, paure, sogni, progetti e ricerca di benessere seppur apparente. Scruto con interesse cosa ha da insegnare la vita all’uomo di oggi la cui ansia spesso diventa tomba. Mi chiedo quanta credibilità la vita può offrire con gli insegnamenti che si sforzano tra mille difficoltà di tradursi in coerenti testimonianze. Mancano certezze e noto l’uomo, che pur nella sua consapevolezza, si immerge in un profondo senso di angoscia nel suo cuore.

 

Nel vortice della comunicazione ormai schiava del relativismo, dove si bruciano nell’attimo le informazioni circolanti in rete, l’uomo, pur volendo mettere in discussione ogni cosa, sperimenta brutalmente il non facile ascolto. L’essere ascoltati necessita di un profondo ascolto interiore, di ascoltare quel sottile e impercettibile senso di angoscia da cui si è spesso abitati, si tratta di comunicare da poveri e non da teoreti, da innamorati e non da maestri.

 

L’umana esistenza possiede una base comune che oscillando tra l’apprendimento e l’insegnamento, la consapevolezza e l’inconsapevolezza, la verità e la menzogna, la testimonianza e la contro testimonianza, può determinare l’incontro o lo scontro delle persone da alcuni ideali e valori, così come da Dio stesso.

 

«Capisci quello che stai leggendo?» (At 8,30), chiede Filippo al funzionario etiope che sta leggendo un passo del profeta Isaia. E quegli risponde: «E come potrei capire se nessuno mi guida?» (At 8,31). In questo dialogo si mostra la necessità di un insegnamento per accostarsi nella comprensione della Sacra Scrittura. È anche vero che tutta la vita di fede ha continuo bisogno di un insegnamento, di una trasmissione in cui il più esperto guida e istruisce il meno esperto.

 

Se ignorante è la persona che non ha ancora visto qualcosa, insegnare agli ignoranti significa “aprire gli occhi” a chi non ha visto qualcosa, in un certo senso poter dire: “Guarda, guarda qui. Ecco qualcosa di interessante. Qui c’è qualcosa che ti riguarda, che è importante per te”. La nobiltà dell’insegnante sta nell’indicare qualcosa affinché l’ignorante guardi con i suoi occhi.

 

La didattica di Gesù, che si rivolge contemporaneamente a dotti e ignoranti, coinvolge la sua persona, assumendo un aspetto fortemente testimoniale e mai cattedratico o teoretico. Gesù insegna con le parole, con i gesti, con il suo modo di vivere, soprattutto con la testimonianza della sua persona. La sua persona, la sua umanità è il cuore dell’insegnamento. La rivelazione della paternità di Dio offertaci da Gesù è l’umanizzazione dell’uomo. Gesù insegna l’uomo a vivere da uomo, per questo è apparso per “insegnarci a vivere in questo mondo” (Tt 2,12).

 

Insegnare aiuta a imparare l’arte della vita. La vita spirituale è sempre anche l’arte di una vita sana. Insegnare agli ignoranti significa dare loro parole che introducono all’arte della vita, pronunciare parole di vita che fanno sgorgare la vita negli altri. Si può dare all’altro parole di vita soltanto se le si è provate, se quelle parole hanno già donato vita. Donare ad altri quelle parole è un’opera di misericordia.

 

L’uomo necessita di una fede matura, salda, credibile, capace di affrontare ogni difficoltà. Una scarsa conoscenza della fede, infatti, è sempre il migliore terreno per far radicare la superstizione e l’errore. Nella società post-moderna in cui viviamo, la trasmissione della fede è particolarmente problematica per la sua urgenza: ogni gesto e ogni parola della fede devono oggi essere ri-motivati, altrimenti si rischia l’insignificanza. Dovremo dunque ri-scoprire piuttosto che insegnare (in-signare), dovremo abituarci a fare e dare segni, trasmettere simboli attraverso cui far orientare nella vita, divenire ponti per facilitare a traghettare, segnalare l’eredità da raccogliere, indicare una via, non imporre solo ed esclusivamente norme e precetti.