Pubblicato il: 24 marzo 2018

Archiviato il: 29 aprile 2018

Il Sabato Santo, il giorno del silenzio e dell'attesa

 


La Quaresima non è solo la preparazione alle processioni della Settimana Santa o ad altri eventi paraliturgici. Né la Settimana Santa si può e deve ridurre alle sole processioni, fermandosi alle ore 21.00 del Sabato Santo e dimenticando il reale senso di questo importantissimo periodo di grazia: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto», si legge nel Vangelo di Giovanni (19,37) che, a sua volta, si rifà ad una profezia messianica di Zaccaria. Dunque, volgere lo sguardo a Colui che, volontariamente, nella sua innocenza, ha preso su di sé i peccati degli uomini e delle donne di tutti i tempi e di tutti i luoghi, è morto, risorto e ci ha offerto la salvezza.

 

Come ci si prepara al grande evento della Pasqua di resurrezione? Senza dubbio non con il pizzarrello, né con le chiacchiere. Sono tante le modalità, come la preghiera, la recita del Rosario, la lettura del breviario, la partecipazione alla Via Crucis e alle varie celebrazioni, la meditazione della Parola, il Sacramento della Riconciliazione, il silenzio e così via. Ed è proprio sul silenzio che, forse, è opportuno spendere qualche parole: in particolare, il silenzio del Sabato Santo. Perché il Sabato Santo è comunemente indicato come il “giorno del silenzio”?

 

Il giorno prima della Pasqua è aliturgico, cioè privo di celebrazioni in tutte le chiese, in attesa della Veglia solenne che è celebrata a partire da qualche ora prima della mezzanotte e durante la quale si celebra la Risurrezione di Gesù. Se nel Giovedì Santo predomina la solennità dell’istituzione dell’Eucaristia e nel Venerdì Santo la mestizia, il dolore e la penitenza per la Passione e morte di Gesù, con la sua sepoltura, nel Sabato Santo, invece, predomina il silenzio, il raccoglimento, la meditazione, per Gesù che giace nel sepolcro prima della gioia della Domenica di Pasqua con l’annuncio della Risurrezione.

 

Insomma, il Sabato Santo è il giorno della meditazione e penitenza: l’oscurità nelle chiese è totale, non vi sono celebrazioni liturgiche, né Sante Messe, è l’unico giorno dell’anno che non si può ricevere la Comunione, tranne nel caso di Viatico per gli ammalati gravi. Tutto è silenzio nell’attesa dell’evento della Resurrezione. È utile, inoltre, ricordare che a Santa Maria Maggiore in Roma e in tante altre chiese d’Italia e del mondo, il mattino del Sabato Santo, si celebra la cosiddetta «Ora della Madre», una celebrazione che fa rivivere il dolore e la fede suprema di Maria nell’attesa della risurrezione del Signore. Il Sabato Santo infatti è davvero l’«Ora» della Madre, vertice del suo lungo cammino di fede: ai piedi della Croce. Ella stette, quale nuova Eva, associandosi al sacrificio del Figlio e accogliendo come figli tutti gli uomini redenti dal suo Sangue divino. Quando poi i discepoli, la sera del Venerdì Santo, posero Gesù nel sepolcro, la sua fede non venne meno, né venne meno la sua indissolubile unione col Figlio Redentore. Anzi, solo in lei stette in quell’Ora la fede di tutta la Chiesa, in lei si raccolsero le speranze del mondo. Perciò è la Madre della nostra fede.

 

Questa celebrazione mariana trova ispirazione nella liturgia bizantina, che canta davanti all’icona di Cristo sepolto i lamenti della Madre sul Figlio ucciso e la sua ansia di vederlo ritornare vivo dai morti. Così, l’«Ora» della Madre, celebrata nel Sabato Santo, è la più adatta e significativa preparazione a vivere la grande Veglia pasquale del Signore che risorge glorioso.

 

In ascolto delle sante Scritture, il Sabato Santo appare come il giorno nel quale nulla è stato detto di Gesù, morto e sepolto il giorno prima, e poco è stato detto riguardo agli altri, i discepoli e i protagonisti della sua passione e morte. Sembra un giorno che deve passare in fretta, perché le donne attendono il giorno successivo per fare ritorno alla tomba, i sommi sacerdoti pensano che nulla possa succedere, visto che la tomba è vigilata dai soldati di Pilato, i discepoli presi dalla paura stanno in casa, a porte chiuse. Nel Sabato Santo la fede è costretta a combattere, a conoscere la propria debolezza, per essere vittoriosa sulla nientità, sul nulla, sul vuoto. Se il Sabato Santo testimonia che Gesù «è andato a fondo», esso ci richiede di andare in profondità, di accogliere il buio che avvolge l’enigma, che a poco a poco, grazie alla forza dello Spirito di Dio operante in noi, può trasformarsi in mistero.

 

Non si può vivere il Sabato Santo senza accettare la «crisi della parola», l’esperienza che le parole non sono sufficienti e a volte devono lasciare il posto al silenzio, al «non saper dire». Lo scandalo della croce getta un’ombra, e in quest’ombra dobbiamo imparare a stare. «È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore» canta il profeta nelle Lamentazioni per la morte del Messia (3,26). Ma se è vero che questo silenzio e questa attesa ci stringono il cuore, nelle profondità del cuore stesso continuiamo però a credere che Gesù Cristo è sempre operante e che proprio quando non vediamo nulla e constatiamo solo che «recessit Pastor noster» (“se n’è andato il nostro Pastore”), proprio allora lui, il Signore dei vivi e dei morti, è sceso negli inferi, nelle profondità irredente dell’uomo, a portare quella salvezza che noi non possiamo darci.

 

Nella vita spirituale prima o poi si va a fondo, ma andando a fondo troviamo Gesù che ci ha preceduti e ci attende a braccia aperte. Allora la nostra attesa finisce, il nostro lamento si cambia in cantico nuovo, il nostro giacere su terre di morte in una danza di gioia: lui, Gesù risorto, asciugherà le lacrime dai nostri occhi e con la sua mano nella nostra ci condurrà al Padre nel Regno eterno.

 

Marcello la Forgia