Pubblicato il: 09 settembre 2018

Archiviato il: 21 ottobre 2018

Sant'Antonio contro il tiranno Ezelino III da Romano

 

 

Ezzelino III da Romano (1194 - 1259) fu coetaneo di sant’Antonio. La famiglia dei da Romano fu una nobile casata di origine germanica stabilitasi nel trevigiano. Era il periodo in cui la ricca borghesia, dopo aver preso il potere nelle città scalzando la vecchia nobiltà, andava alla conquista delle terre feudali protette dall’Impero governato da Federico II.

 

L’inevitabile scontro portò a lotti spietate, dove a rimetterci fu soprattutto la povera gente. Ezzelino III fu un capo militare spietato che si schierò a favore dell’impero di Federico II. Conquistò Verona, Vicenza e Padova diventando uno dei signori più potenti e temuti dell’Italia del Nord.

 

Papa Innocenzo IV organizzò contro di lui addirittura una crociata, definendolo «nemico di ogni virtù e persecutore della fede, protettore di eretici ed eretico lui stesso». Gli lanciò contro una scomunica bollandolo come «belva sanguinaria in sembianze di uomo».

 

Nella Divina Commedia, Dante inserì Ezelino III nell’inferno a penare dentro una palude di sangue bollente, in compagnia di altri efferati tiranni. Salimbene, cronista del tempo, così scriveva di lui: «Costui fu veramente membro del diavolo e figliolo d’iniquità. Infatti un giorno nel campo S. Giorgio di Verona (...) fece bruciare undicimila padovani, dentro una grande casa dove li teneva prigionieri e in catene; e mentre venivano bruciati, egli e si suoi cavalieri giravano attorno cantando e svolgendo un torneo. Fu il peggiore uomo del mondo».

 

Sant’Antonio incontrò Ezelino per cercare di convertirlo. Un episodio raccontato in dettaglio nella Benignitas: «C’era a quel tempo un personaggio potente, ma crudelissimo tiranno, di nome Ezzelino da Romano, che opprimeva Padova ed i territori circostanti. Costui, all’inizio della sua tirannide, aveva compiuto un’enorme strage di uomini a Verona. Venendo a sapere del massacro, il padre intrepido, Antonio, s’azzardò di recarsi di persona da colui. Giunto alla sua presenza, lo aggredì con queste parole: “O nemico di Dio, tiranno spietato, cane rabbioso, fino a quando non smetterai di versare innocente sangue cristiano? Ecco, ti pende sopra il capo la condanna di Dio, durissima e terribile”. E molte altre rampogne veementi e acerbe gli gettò in faccia. Le guardie del corpo aspettavano che il despota desse ordine, com’era solito, di trucidarlo immediatamente. Ma per disposizione del Signore avvenne ben altrimenti. Poiché il tiranno, colpito da quelle invettive dell’uomo di Dio, lasciò cadere ferocia e diventò mansueto come un agnello. Si passò al collo il cinturone, prostrandosi davanti all’uomo di Dio, fra lo stupore di tutti i presenti, confessò umilmente la sua colpa, promettendo che riparerebbe, secondo il beneplacito di lui, al male compiuto. Poi ai suoi attoniti scherani spiegò: “Cari commilitoni, non rimanete stupefatti per il mio comportamento. Vi dico in tutta verità, che ho visto sprigionarsi dal viso di questo padre un fulgore divino, che mi atterrì al punto che, di fronte a una visione così spaventosa, avevo la sensazione di precipitare subito all’infermo”.

Da quel giorno Ezzelino ebbe in grandissima devozione il Santo e, finché questi visse, si tirò indietro da molte atrocità che avrebbe voluto perpetrare, come confidava egli stesso».