Pubblicato il: 07 luglio 2018

Archiviato il: 11 agosto 2018

Tredicina 2018, momento di crescita spirituale e riflessione comunitaria

 

 

Riflessione sulla santità e, nel Triduo, sulla figura di Antonio come sacerdote. Sono molti gli spunti consegnati alla nostra comunità confraternale dalla Tredicina appena conclusa, a partire proprio dal valore della santità in relazione a quanto indicato da Papa Francesco con la sua Esortazione Apostolica «Gaudete et Exsultate».

 

Innanzitutto, come ha anche sottolineato don Vito, Assistente spirituale, la santità non è un’altra cosa rispetto alla vita quotidiana, ma è la vita ordinaria vissuta straordinariamente: la vocazione alla santità è per ogni christiifideles, non solo per coloro che scelgono la sequela Christi nei consigli evangelici, ma anche per ogni battezzato appartenente a qualsiasi confessione cristiana.

 

È nel Battesimo, infatti, che lo spirito opera quella «conversione» in Cristo che ci rende partecipi della vita divina, cioè figli di Dio, e «capaci» di vivere da figli di Dio. Come evidenziato da don Vito, ci vuole anche il concorso della libertà e volontà del credente per corrispondere al dono offerto e la costante comunione con i mezzi preziosi della grazia, che sono la Parola di Dio, i Sacramenti, la preghiera e «una donazione quotidiana d’amore».

 

È necessario, inoltre, che ogni battezzato, intenzionato a vivere la vocazione alla santità evangelica, sappia allontanare due principali tentazioni: lo gnosticismo e il pelagianesimo. A volte, anche richiudiamo la nostra fede nel soggettivismo, quando si preferisce un Dio senza Cristo, un Cristo senza Chiesa, una Chiesa senza popolo (lo gnosticismo che si traveste da spiritualità disincarnata). Peraltro, il pelagianesimo attuale, che ha le sue radici nello gnosticismo, offre un disordinato ed eccessivo valore alla volontà umana, a discapito della grazia e della stessa virtù dell’umiltà.

 

La via per la santità della vita del cristiano, che ovviamente parte da una reale conformazione a Cristo attraverso lo stile delle beatitudini, deve far germogliare alcuni concreti atteggiamenti come la fermezza interiore (da accogliere come opera della grazia, che ci aiuta a vivere la violenza che invade la vita sociale) e l’umiltà (che può radicarsi nel cuore solamente attraverso le umiliazioni).

 

E anche Sant’Antonio pone alla base della santità l’umiltà, che fa conoscere all’uomo se stesso e Dio. Come il fuoco riduce in cenere e abbassa le cose alte, così l’umiltà costringe il superbo a piegarsi e a umiliarsi, ripetendo le parole del Genesi: «Polvere tu sei e in polvere tornerai» (3,19). Il disprezzo di sé (contemptus sui) è la principale virtù dell’uomo giusto, con cui si contrae e si allunga per raggiungere i beni celesti. La superbia è il più grave peccato davanti a Dio e l’umiltà è la più nobile delle virtù, aiutata dalla grazia divina. Antonio paragona l’umiltà a un fiore, poiché come un fiore essa ha la bellezza del colore, la soavità del profumo e la speranza del frutto: «Quando vedo un fiore spero nel frutto; così quando vedo un umile, io spero nella sua beatitudine celeste».

 

Oltre alla riflessione sulla santità, il Triduo Solenne della Tredicina ha posto l’attenzione dell’assemblea sulla figura di Sant’Antonio sacerdote e, in particolare, sul valore della Parola di Dio. Come ricordato da don Nicola Felice Abbattista, che ha celebrato nei primi due giorni del Triduo, anche l’iconografia del Santo patavino e quella della nostra statua ci ricorda un aspetto importante, non secondario, di Antonio: la Parola, anzi la conoscenza intima e profonda di tutta la Sacra Scrittura, rappresentata sempre dal libro che Antonio porta tra le sue mani.

 

Antonio, con la sua vita, ci insegna che la Parola di Dio può diventare una forza dinamica che provoca mutamenti nella nostra vita via via che impareremo sempre più a metterla in pratica. I principi di Dio sono esposti chiaramente nella Scrittura. Se non coltiviamo il desiderio di conoscere e sperimentare la Parola di Dio, essa potrà fare ben poco per noi.

 

I principi della Parola di Dio possono diventare parte della nostra esperienza pratica di ogni giorno: solo per mezzo della potenza della Parola di Dio siamo in grado di manifestare l'amore di Gesù e di godere una vita traboccante di grazie e benedizioni, di pienezza e di vittoria.

 

Dunque, quale dovrebbe essere l'atteggiamento della nostra mente quando leggiamo la Scrittura? Alcuni cristiani leggono la Bibbia come se fosse un qualsiasi testo di cristianesimo, una serie di norme per condurre una vita giusta, oppure una raccolta di storie religiose. Ma la Bibbia contiene una maggiore saggezza sui problemi pratici ed una più profonda penetrazione del pensiero di Dio di tutti gli altri libri messi insieme.

 

Una volta conosciuto l'effetto che la Parola di Dio può avere sulla nostra vita, come dovremmo leggerla? Dovremmo accostarci alla Bibbia proprio come ci avvicineremmo ad un amico carissimo per ascoltare quanto ci dice. La Bibbia ha questo scopo: non importa quale parte si legga, Dio ci parlerà intimamente attraverso di essa. Il cuore aperto per conoscere Dio, non solo qualcosa su Dio Proprio Antonio evidenzia che, quando si legge la scrittura, dobbiamo ricordare che Dio vuole rivelarci se stesso. Se ascoltate regolarmente e a lungo una persona qualsiasi, scoprirete presto molte cose sul suo conto. Prima che passi molto tempo, le sue idee, le sue opinioni e i suoi desideri più intimi vi diverranno chiari. Dio vuole rivelarsi in questo modo a tutti coloro che lo amano e Lo cercano.