Pubblicato il: 22 giugno 2019

Archiviato il: 29 luglio 2019

Tredici giorni con Sant'Antonio

 

 

Come ogni anno, l’ultimo giorno di maggio inizia il periodo di preghiere per prepararsi a celebrare il 13 giugno Sant’Antonio di Padova. Di questo Santo, tutti hanno la conoscenza delle “tredici grazie”, ma della sua vita si conosce poco o niente. Eppure la vita di questo giovane è intessuta di eventi meravigliosi che non sono solo le consuete “tredici grazie”.

Viviamo questi giorni imparando da Lui a conoscere la Bibbia e così conoscere e amare Gesù.

 

Il nome Fernando de Bouillon. Entrato in convento a 12 anni, aveva sentito la necessità di allontanarsi da Lisbona per entrare tra gli Agostiniani di S. Croce di Coimbra. Subito dopo, rinunciò anche agli studi, per seguire il Cristo in povertà, lasciando il paese natio e lo stesso nome di Fernando per scegliere Antonio, in onore dell’Abate a cui era intitolato l’eremo francescano S. Antonio degli Olivi.

 

La scelta di vita Nel 1220 arrivano a Coimbra i corpi di 5 frati Francescani decapitati in Marocco perché predicavano il Vangelo. Quando arrivano i frati del Monte Olivares, giunti per ritirare le salme, Fernando confida loro la sua ispirazione di vivere secondo il Vangelo. Ottenuto il permesso dal Provinciale Francescano di Spagna e dal Priore Agostiniano di entrare nel Romitorio dei Minori Ferdinando fa subito la professione religiosa e cambia il suo nome in Antonio.

Antonio sul modello dei cinque frati uccisi in Marocco, desidera portare la parola di Dio agli infedeli anche se questo comporta il martirio.

 

Il Sacerdozio Fernando si applica nello studio con ottimi maestri di scienze e teologia e si prepara ad essere ordinato sacerdote. Nel 1219, all'età di 24 anni, Fernando diventa sacerdote.

 

Predicatore del Vangelo Il Ministro Provinciale dell'Ordine per l'Italia Settentrionale gli propone di trasferirsi a Montepaolo, vicino Forlì, per celebrare la Messa in un piccolo Eremo. Per più di un anno Antonio si dedica alla contemplazione e alla penitenza occupandosi delle mansioni più umili e aiutando i fratelli: un giorno si reca, con i confratelli, nella Chiesa di San Mercuriale per assistere all'ordinazione di nuovi sacerdoti, dove ha occasione di pregare alla presenza di una vasta platea composta anche da notabili.

L'impressione provocata dalla sua spontanea eloquenza fu tale che fu nominato predicatore, insegnando talvolta anche a Francesco il quale gli raccomandò di non perdere lo spirito della preghiera e della devozione.

La sua predicazione ebbe inizio in Romagna, prosegui poi nell'Italia Settentrionale, per combattere l'eresia Catara in Italia e Albigese in Francia, dove giungerà nel 1225. Antonio era fermamente convinto che per contrastare gli eretici che disponevano di abili predicatori fosse necessaria una preparazione teologica per i frati minori e, dopo molte insistenze, Francesco gli consentì di fondare nel 1223 la prima scuola teologica francescana a Bologna.

La fama dell'eloquenza di Antonio e dei miracoli che accompagnavano la predicazione convinse papa Onorio a inviare Antonio in Francia per contrastare gli eretici catari. Antonio rimase in quella terra per oltre due anni tra il 1225 e il 1227 predicando in Provenza, Linguadoca e Guascogna. Il padre provinciale di Provenza lo nominò dapprima guardiano del convento di Le Puy e poi superiore dei conventi del Limousin.

 

Lo stile di vita di AntonioLe cronache e le agiografie riferite a quegli anni riportano come Antonio sapesse far convivere grande rigore e dolcezza d'animo. Riporta la Benignitas: «Resse con lode per più anni il servizio dei frati, e sebbene per eloquenza e dottrina si può dire superasse ogni uomo d'Italia, tuttavia nell'ufficio di prelato si mostrava cortese in modo mirabile e governava i suoi frati con clemenza e benignità». Giovanni Rigauld, suo biografo francese, dirà che nonostante la carica di Guardiano «non sembrava affatto superiore, ma compagno dei frati; voleva essere considerato uno di loro, anzi inferiore a tutti. Quando era in viaggio, lasciava la precedenza al suo compagno… E pensando che Cristo lavò i piedi ai suoi discepoli, lavava anche lui i piedi ai frati e si adoperava a tenere puliti gli utensili della cucina».

Antonio stesso nei Sermones scrisse: «La vita del prelato deve splendere d'intima purezza, dev'essere pacifica con i sudditi, che il superiore ha da riconciliare con Dio e tra loro; modesta, cioè di costumi irreprensibili; colma di bontà verso i bisognosi. Invero, i beni di cui egli dispone, fatta eccezione del necessario, appartengono ai poveri, e se non li dona generosamente è un rapinatore, e come rapinatore sarà giudicato. Deve governare senza doppiezza, cioè senza parzialità, e caricare sé stesso della penitenza che toccherebbe agli altri… Inargèntino i prelati le loro parole con l'umiltà di Cristo, comandando con benignità e affabilità, con previdenza e comprensione. Ché non nel vento gagliardo, non nel sussulto del terremoto, non nell'incendio è il Signore, ma nel sussurro di una brezza soave ivi è il Signore».

In un'altra predicazione scrisse: «Assai più vi piaccia essere amati che temuti. L'amore rende dolci le cose aspre e leggere le cose pesanti; il timore, invece, rende insopportabili anche le cose più lievi».

A differenza di quanto accadeva in altri contesti religiosi, la Regola francescana imponeva ai Ministri Provinciali di visitare i conventi e i religiosi affidati alle loro cure: «I frati, che sono ministri e servi degli altri frati, visitino e ammoniscano i loro fratelli e lì correggano con umiltà e carità (...) Benché sia permesso di provvedersi un buon corredo di cultura, pur si ricordi più di ogni altro di essere semplice nei costumi e nel contegno, favorendo così la virtù. Abbia in orrore il denaro, rovina principale della nostra professione e perfezione; sapendo di essere capo di un Ordine povero e di dover dare il buon esempio agli altri, non si permetta alcun abuso in fatto di denaro. Non sia appassionato raccoglitore di libri e non sia troppo intento allo studio e all'insegnamento, per non sottrarre all'ufficio ciò che dedica allo studio. Sia un uomo capace di consolare gli afflitti, perché è l'ultimo rifugio dei tribolati, onde evitare che, venendo a mancare i rimedi per guarire, gli infermi non cadano nella disperazione. Per piegare i protervi alla mansuetudine non si vergogni di umiliare e abbassare sé stesso rinunciando in parte al suo diritto per guadagnare l'anima».

 

Gesù Bambino Poco prima di morire Antonio ottiene di ritirarsi in preghiera a Camposampiero, vicino a Padova, nel luogo che il signore del luogo, il conte Tiso, aveva affidato ai francescani, nei pressi del suo castello.

Camminando nel bosco, Antonio nota un maestoso noce e gli viene l’idea di farsi costruire tra i rami dell’albero una specie di celletta. Tiso gliela allestisce. Il Santo passa così in quel rifugio le sue giornate di contemplazione, rientrando nell’eremo solo la notte.

Una sera, il conte si reca nella stanzetta dell’amico, quando, dall’uscio socchiuso, vede sprigionarsi un intenso splendore. Temendo un incendio, spinge la porta e resta immobile davanti alla scena prodigiosa: Antonio stringe fra le braccia Gesù Bambino. Quando si riscosse dall’estasi e vide Tiso commosso, il Santo lo pregò di non parlare con nessuno dell’apparizione celeste. Solo dopo la morte del Santo, il conte racconterà quello che aveva visto.

 

La Morte La Quaresima e la predicazione avevano fiaccato Antonio, che in diverse occasioni aveva dovuto farsi portare a braccia sul pulpito. Afflitto dall'idropisia e dall'asma - forse sintomi di cardiopatia - trovava a volte difficile anche il solo camminare.

Acconsentì a ritirarsi per una convalescenza nel convento di Santa Maria Mater Domini. Questo suo breve riposo, tuttavia, si interruppe bruscamente.

Spadroneggiava in quel tempo, tra Verona e Vicenza, Ezzelino III da Romano, emissario dell'imperatore Federico II contro i liberi Comuni. Riuscito a farsi eleggere Podestà di Verona, città guidata dai conti di Sambonifacio, aveva intrecciato con loro un doppio matrimonio: lui con Zilia, sorella del conte Rizzardo, e questi con sua sorella Cunizza.

Una volta ottenuto il potere, passò sopra i legami di parentela e ruppe l'alleanza coi Sambonifacio, mandando in carcere il cognato. Alcuni cavalieri del conte Rizzardo ripararono a Padova e da lì cercarono di organizzarne la liberazione.

Verso la fine di maggio Antonio partì alla volta di Verona per chiedere a Ezzelino di concedere la grazia al conte Rizzardo, ma non riuscì a ottenere nulla. Ezzelino fu veramente irremovibile, e anzi risparmiò ad Antonio la stessa sorte del conte Rizzardo soltanto per rispetto dell'abito che portava.

Nel giugno 1231, pochi giorni prima della sua morte, Antonio soggiornò a Camposampiero, invitato dal conte Tiso per un periodo di meditazione e riposo nel piccolo romitorio nei pressi del castello (sul luogo sorge oggi il santuario della Visione).

La tradizione narra che qui si ebbe la famosa predica del noce. Venerdì 13 giugno 1231 si sentì mancare e, avendo compreso che non gli restava molto da vivere, chiese di essere riportato a Padova dove desiderava morire.

Fu trasportato verso Padova su un carro agricolo trainato da buoi (i venti chilometri della strada romana oggi sono chiamati "via del Santo"). In vista delle mura la comitiva incontrò frate Vinotto che, viste le su e gravi condizioni, consigliò di fermarsi all'Arcella, nell'ospizio accanto al monastero delle Clarisse dove sarebbe stato al sicuro dalle "sante intemperanze" della folla quando si fosse sparsa la notizia della morte. I confratelli temevano che la folla si precipitasse sul carro per toccare il corpo del Santo. Al convento di Arcella i confratelli adagiarono Antonio per terra. Ricevuta l'unzione degli infermi, ascoltò i confratelli cantare l'inno mariano da lui prediletto,"O gloriosa Domina". Quindi, pronunciate, secondo quanto riferito dall'Assidua, le parole Video Dominum meum (Vedo il mio Signore), morì. Aveva 36 anni.

 

Don Vito Marino (assistente spirituale)