Pubblicato il: 14 giugno 2021

Archiviato il: 11 dicembre 2022

Trent'anni fa il furto del Mento di Sant'Antonio

 

 

Erano le 18.20 del 10 ottobre del 1991 quando tre banditi Andrea Zammattio, Andrea Batacchi e Stefano Galletto, armati e coperti da passamontagna, fecero irruzione nella Basilica patavina e rubarono la reliquia del Mento del Santo.

 

Ad assistere sotto shock alla scena diversi fedeli e la guardia Jorge Damonte che furono immobilizzati sotto la minaccia delle armi. Un quarto complice, Giulio Maniero, a bordo di un’auto, aspettava i malviventi all’esterno, in via Orto Botanico, per favorirne la fuga.

 

La firma della rapina fu di Felice Maniero, detto Felicetto, boss della mafia del Brenta, pubblicamente pentitosi del furto anni dopo. L’obiettivo era quello di intavolare una trattativa con lo Stato per la liberazione del cugino del boss Giuliano Rampin, all’epoca dei fatti in carcere per reati di droga, e la revoca della misura di sorveglianza a carico dello stesso Maniero.

 

In realtà la reliquia da trafugare avrebbe dovuto essere la Lingua del Santo ma come raccontò lo stesso boss sugli esecutori materiali: «Io avevo ordinato di prendere la Lingua di sant’Antonio, molto più “sostanziale” per lo scambio, invece, quegli zucconi mi arrivarono con il Mento. Allora pensai: per prendere la Reliquia sbagliata, di sicuro devono aver ritenuto, come tutti noi, che la lingua fosse dentro la bocca» (Felice Maniero, intervista rilasciata al Messaggero di Sant’Antonio in occasione del ventennale del furto per «riparare, anche solo per la miliardesima parte, al dispiacere che ho provocato ai fedeli»).

 

La notizia suscitò diverso clamore all’epoca al punto che anche il Times dette risalto a quanto accaduto nell’edizione del 28 ottobre 1991. Numerosi gli appelli lanciati dai frati della Basilica e dall’allora rettore padre Olindo Baldassa. Anche il Santo Padre mostrò la sua vicinanza al mondo antoniano attraverso le parole del delegato pontificio Mons. Marcello Costalunga espresse durante la celebrazione del 21 ottobre 1991. Neanche il vescovo pro-tempore di Padova, Antonio Mattiazzo riuscì a nascondere la sua trepidazione per la vicenda. Per questo si organizzarono veglie di preghiera nella speranza che il mento del Santo potesse tornare presto dai suoi fedeli.

 

La Reliquia venne ritrovata 71 interminabili giorni dopo, il 20 dicembre 1991, «ufficialmente» nelle campagne dell'aeroporto romano di Fiumicino, dove avrebbe dovuto partire per il Sud America. A pochi giorni dal Natale la reliquia tornò a casa; l’intera Padova fu in festa, le campane suonarono di gioia per tutta la città. La domenica successiva, 22 dicembre, la reliquia fu riconsegnata ai frati per mano del generale dei carabinieri Antonio Viesti, durante una solenne celebrazione a cui prese parte una moltitudine di fedeli.

 

Ma le cronache, invece, offrirono ben altra ricostruzione dimostrando come la versione ufficiale del ritrovamento fosse falsa e che invece la reliquia fosse stata trovata a pochi passi dalla città, dalla quale non si era mai allontanata troppo, sigillata e seppellita lungo le rive del Brenta e fatta ritrovare in un cassonetto delle immondizie a Ponte di Brenta. La notizia battuta dall’ANSA alle 10.50 del 20 dicembre del 1991 con il rinvenimento della reliquia nei pressi di Fiumicino si rivelò una messinscena che aggiunse un’ulteriore brutta figura alla vicenda. Per falso ideologico in atto pubblico furono quindi arrestati due marescialli e un colonnello che fu poi successivamente assolto.

 

Dopo il ritrovamento scese un lungo silenzio sulla vicenda. Solo l’11 febbraio del 1995 il quotidiano “la Repubblica” pubblicò gli esiti dell’inchiesta che vide coinvolto il boss della mala del Brenta a conclusione di una lunga indagine condotta dalla Criminalpol del Veneto sotto coordinazione delle procure di Padova e Venezia.

 

Maniero, per la cronaca, pentitosi nel ’95, ha collaborato con le forze dell’ordine per smantellare il suo stesso clan. Oggi è un uomo libero, vive in una località segreta con una nuova identità. Lo Stato gli ha confiscato un unico bene, la villa bunker di Campolongo Maggiore (Venezia).

 

Il regista padovano Carlo Mazzacurati, ispirandosi liberamente al furto della reliquia del mento di Sant’Antonio, presentò nel 2000, alla Mostra del Cinema di Venezia, il film “La Lingua del Santo” dove vengono narrate le vicende tragicomiche di due ladri maldestri che rubano la reliquia del Santo.