Pubblicato il: 26 aprile 2021

Archiviato il: 06 agosto 2021

VIII centenario del Capitolo delle Stuoie

 

 

Il 30 maggio del 1221, esattamente 8 secoli fa, Sant'Antonio, ripresosi dal naufragio sulle coste siciliane, insieme ad un grande numero di frati partecipò al famoso “Capitolo delle stuoie” ad Assisi presso la piana di Santa Maria degli Angeli. Si stima che a questo capitolo presero parte tra i 3000 e i 5000 frati. Antonio vide è ascoltò Francesco parlare alla famiglia francescana ma nessuna testimonianza riporta di un incontro tra i due. L'unico incontro, sovrannaturale, avverrà tre anni più tardi, nel 1224, al Capitolo di Arles. Mentre Antonio è intento nel tenere un sermone ai frati, San Francesco appare solo ad un confratello, Monaldo, che fa l'esperienza della visione. Tutti gli altri, compreso Antonio, ne avvertono però la presenza. Il giovane di Lisbona passò quasi inosservato al capitolo prima di vivere per qualche tempo nel totale nascondimento in un convento presso Forlì, nel nord dell’Italia, dove il Signore lo chiamerà successivamente a un'altra missione.

 

I francescani erano soliti incontrarsi due volte all'anno alla Porziuncola nel periodo della Pentecoste e nella festività di San Michele Arcangelo. Questi incontri, chiamati capitoli, servivano a definire e migliorare le dinamiche dell'ordine. Nel 1219 San Francesco, pur continuando ad esserne la guida spirituale, rinuncia al governo dei frati a favore di uno dei suoi più vicini seguaci: Pietro Cattani. In quello stesso anno San Francesco parte per la terra santa per poi rientrare l'anno seguente. Durante la sua assenza si verificarono dei disordini tra i frati che portarono San Francesco a convocare questo capitolo dove verrà stilata la Regola conosciuta come "Regola non bollata" perché respinta dalla Curia romana in quanto troppo prolissa e con poco valore giuridico. Dopo aver revisionato il testo, il 29 novembre 1223 papa Onorio III approvò con la bolla "Solet annuere" la Regola dell’Ordine dei Frati Minori (detta "Regola bollata").

 

A questo stesso Capitolo, partecipò da semplice spettatore anche San Domenico di Guzmàn, “capo e fondamento dell'Ordine de' frati Predicatori, il quale allora andava di Borgogna a Roma, e udendo la congregazione del Capitolo che santo Francesco facea in nel piano di Santa Maria degli Agnoli, si lo andò a vedere con sette frati dell'Ordine suo” (dai Fioretti di San Francesco, cap. XVIII).

 

Vi partecipò anche il Cardinale Ugolino dei Conti di Segni con cui già dal 1217 San Francesco aveva strinto rapporti e che, profetizzato dal poverello d'Assisi, diventerà poi papa Gregorio IX nonché grande protettore di San Francesco e di tutto l'Ordine Francescano: “Fu ancora al detto Capitolo uno Cardinale devotissimo di santo Francesco, al quale egli avea profetato ch'egli dovea essere Papa, e così fu, il quale Cardinale era venuto istudiosamente da Perugia, dov'era la corte ad Ascesi; e ogni dì veniva a vedere santo Francesco e' suoi frati, e alcuna volta cantava la messa, alcuna volta faceva il sermone a' frati in Capitolo; e prendea il detto Cardinale grandissimo diletto e divozione, quando venia a visitare quel santo collegio” (op. cit.).

 

Il Cardinale Ugolino nutrì grande ammirazione nei confronti dei frati che parteciparono al Capitolo: "E veggendo sedere in quella pianura intorno a Santa Maria i frati a schiera a schiera, qui quaranta, ove cento, dove ottanta insieme, tutti occupati nel ragionare di Dio, in orazioni, in lagrime, in esercizi di carità, e stavano con tanto silenzio e con tanta modestia, che ivi non si sentia uno romore, nessuno stropiccìo e maravigliandosi di tanta moltitudine in uno così ordinata, con lagrime e con grande devozione diceva: «Veramente questo si è il campo e lo esercito de' cavalieri di Dio!». Non si udiva in tanta moltitudine niuno parlare favole o bugie, ma dovunque si raunava ischiera di frati, quelli oravano, o eglino diceano ufficio, o piagneano i peccati loro o dei loro benefattori, o ragionavano della salute delle anime” (op. cit.).

 

I frati, provenienti dalle più disparate provincie, durante il capitolo, si riunirono in preghiera e atti di devozione: “Erano in quel campo tetti di graticci e di stuoie, e distinti per torme, secondo i frati di diverse Provincie; e però si chiamava quel Capitolo, il Capitolo di graticci ovvero di stuoie. I letti loro si era la piana terra e chi avea un poco di paglia; i capezzali si erano o pietre o legni. Per la qual ragione si era tanta divozione di loro, a chiunque li udiva o vedeva, e tanto la fama della loro santità, che della corte del Papa, ch'era allora a Perugia, e delle altre terre della Valle di Spulito veniano a vedere molti conti, baroni e cavalieri ed altri gentili uomini e molti popolani e cardinali e vescovi e abati e con molti altri cherici, per vedere quella così santa e grande congregazione e umile, la quale il mondo non ebbe mai, di tanti santi uomini insieme; e principalmente venìano a vedere il capo e padre santissimo di quella santa gente, il quale avea rubato al mondo così bella preda e raunato così bello e divoto gregge a seguitare l'orme del vero pastore Gesù Cristo” (op. cit.).

 

La predicazione di San Francesco molto profonda non lasciò indifferente gli astanti: “Essendo dunque raunato tutto il Capitolo generale, il santo padre di tutti e generale ministro santo Francesco in fervore di spirito propone la parola di Dio, e predica loro in alta voce quello che lo Spirito Santo gli facea parlare; e per tema del sermone propuose queste parole: «Figliuoli miei, gran cose abbiamo promesse a Dio, troppo maggiori sono da Dio promesse a noi se osserviamo quelle che noi abbiamo promesse a lui; e aspettiamo di certo quelle che sono promesse a noi. Brieve è il diletto del mondo, ma la pena che seguita ad esso è perpetua. Piccola è la pena di questa vita, ma la gloria dell'altra vita è infinita»” (op. cit.).

 

Pazienza, temperanza, castità, pace e povertà erano i temi fondamentali della sua predicazione: “E sopra queste parole predicando divotissimamente, confortava e induceva tutti i frati a obbidienza e a riverenza della santa madre Chiesa e alla canta fraternale, e ad orare per tutto il popolo Iddio, ad avere pazienza nelle avversità del mondo e temperanza nelle prosperità, e tenere mondizia e castità angelica, e ad avere concordia e pace con Dio e con gli uomini e con la propria coscienza, e amore e osservanza della santissima povertà. E quivi disse egli: «lo comando, per merito della santa obbedienza, che tutti voi che siete congregati che nessuno di voi abbia cura né sollecitudine di veruna cosa di mangiare o di bere o di cose necessarie al corpo, ma solamente intendere a orare e laudare Iddio; e tutta la sollecitudine del corpo vostro lasciate a lui, imperò ch'egli ha spezialmente cura di voi». E tutti quanti ricevettono questo comandamento con allegro cuore e lieta faccia. E compiuto il sermone di santo Francesco, tutti si gettarono in orazione” (op. cit.).

 

San Domenico restò particolarmente stupito dal testamento che Francesco lasciò ai frati in questo capitolo esortandoli perpetuamente a lodare e ringraziare il Signore il quale avrebbe, come promesso, soddisfatto i loro bisogni spirituali e corporali: “Di che santo Domenico, il quale era presente a tutte queste cose, fortemente si maravigliò del comandamento di santo Francesco e riputavalo indiscreto, non potendo pensare come tanta moltitudine si potesse reggere, sanza avere nessuna cura e sollocitudine e cose necessarie al corpo” (op. cit.).

 

Ed è Gesù stesso, dando seguito al miracolo della moltiplicazione dei pani, che ispirò la carità cristiana nelle popolazioni delle cittadine circostanti, le quali provvidero al sostentamento di quella assemblea: “Ma 'l principale pastore Cristo benedetto, volendo mostrare com'egli ha cura delle sue pecore e singulare amore a' poveri suoi, immantanente ispirò alle genti di Perugia, di Spulito e di Foligno, di Spello e d'Ascesi e delle altre terre intorno, che portassono da mangiare e da bere a quella santa congregazione. Ed eccoti subitamente venire delle predette terre uomini con somieri, cavalli, carri, carichi di pane e di vino, di fave, di cacio e d'altre buone cose da mangiare, secondo ch'a' poveri di Cristo era di bisogno. Oltre a questo, recavano tovaglie, orciuli, ciotole, bicchieri e altri vasi che faceano mestieri a tanta moltitudine. E beato si riputava chi più cose potesse portare, o più sollecitamente servire, in tanto ch'eziandio i cavalieri e li baroni e altri gentili uomini che veniano a vedere, con grande umiltà e divozione servirono loro innanzi. Per la qual cosa santo Domenico, vedendo queste cose e conoscendo veramente che la provvidenza divina si adoperava in loro, umilmente si riconobbe ch'avea falsamente giudicato santo Francesco di comandamento indiscreto, e inginocchiossi andandogli innanzi e umilmente ne disse sua colpa e aggiunse: «Veramente Iddio ha cura speziale di questi santi poverelli, e io non lo sapea, e io da ora innanzi prometto d'osservare la evangelica povertà e santa; e maladico dalla parte di Dio tutti li frati dell'Ordine mio, li quali nel detto Ordine presumeranno d'avere proprio». Sicché santo Domenico fu molto edificato della fede del santissimo Francesco, e della obbidienza e della povertà di così grande e ordinato collegio, e della provvidenza divina e della copiosa abbondanza d'ogni bene” (op. cit.).

 

Il capitolo si concluse con la benedizione del Signore e con il conforto di San Francesco: “In quello medesimo Capitolo fu detto a santo Francesco che molti frati portavano il cuoretto (strumento di mortificazione della carne, n.d.r.) in sulle carni e cerchi di ferro, per la qual cosa molti ne infermavano, onde ne morivano, e molti n'erano impediti dallo orare. Di che santo Francesco, come discretissimo padre, comandò per la santa obbidienza, che chiunque avesse o cuoretto o cerchio di ferro, si se lo traesse e ponesselo dinanzi a lui. E così fecero. E furono annoverati bene cinquecento cuoretti di ferro e troppo più cerchi tra da braccia e da ventri, in tanto che feciono un grande monticello e santo Francesco tutti li fece lasciare ivi. Poi compiuto lo Capitolo, santo Francesco confortandoli tutti in bene e ammaestrandoli come dovessino iscampare e sanza peccato di questo mondo malvagio, con la benedizione di Dio e la sua li rimandò alle loro provincie, tutti consolati di letizia spirituale. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen” (op. cit.).